L’educazione outdoor nei contesti emergenziali: riappropriarsi del proprio spazio di vita dopo un disastro naturale

Alessandro Vaccarelli Università degli Studi dell’Aquila (Italy)

Da qualche anno, in Italia, la pedagogia si confronta con gli effetti dei disastri naturali, con la catastrofe, con un’idea di rischio che, pur sembrando strettamente ancorata alle idee di previsione e di reazione agli eventi, allarga in realtà le sue fronde alle conseguenze sociali, educative, culturali che gli eventi stessi, e la loro gestione, producono nel breve, medio e lungo periodo. Un terremoto, così come un’alluvione, o un disastro ambientale o politico, hanno una durata che va ben oltre l’esperienza di quanto può accadere in pochi secondi o minuti, ferendo territori, comunità, persone, segnando i vissuti individuali e quelle reti, formali e informali, che vedono l’extraordinarietà delle situazioni divenire il terreno entro cui provare a risollevare le sorti e a produrre resilienza/resistenza. L’idea di trauma si dipana e investe non soltanto l’esperienza individuale e strettamente privata, ma anche quella pubblica, collettiva, per certi versi anche politica.

Nello scenario di due grandi terremoti recenti (L’Aquila, 2009 e Amatrice, 2016) e, dunque, dell’emergenza e del post-emergenza che sono ad essi seguiti, si sono mosse alcune ricerche che, a partire dai bisogni di bambine e bambini, di adolescenti e giovani, e prendendo in esame il loro rapporto con territori, le comunità di riferimento, i loro spazi di vita e il loro stesso senso dell’identità, hanno tentato di dare risposta ad alcune domande: come sostenere la resilienza attraverso l’educazione? Quali approcci possono accompagnare con successo gli apprendimenti scolastici? Come garantire che il senso della comunità possa essere sostenuto e sviluppato verso direzioni future? Come riappropriarsi del proprio ambiente e dei luoghi di riferimento feriti dal disastro?

Su queste ultime due domande, si sono mossi alcuni progetti di ricerca-azione che, attraverso l’outdoor education, hanno cercato di “ricostruire” il senso dei luoghi e degli spazi di vita, il senso della città e del quartiere, tra quei bambini e bambine che all’Aquila hanno sperimentato, e sperimentano ancora oggi, l’estraneazione, il disorientamento, l’assenza di punti di riferimento spaziali stabili e rassicuranti. La metodologia outdoor, attraverso tutte le potenzialità dello spazio aperto, non solo permette di promuovere nuove modalità di apprendimento, di far “funzionare” al meglio la cooperazione e di rilanciare il ruolo della motivazione, ma si è dimostrata efficace anche rispetto ai temi della resilienza, della ri-costruzione dell’identità sociale, della riappropriazione degli spazi di vita negli scenari di post-catastrofe.